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Donne e azzardo, un fenomeno in crescita

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Le patologie legate al gioco non colpiscono solo gli uomini. Sono più di 5 milioni le donne che giocano e scommettono, con stili di consumo e profili diversi.

In media hanno 50 anni, sono mogli e madri. Non giocano per vincere o per tentare la fortuna, ma per sfuggire alle difficoltà quotidiane: come antidoto alla solitudine, come anestetizzante all’isolamento della famiglia. E spesso finiscono nel vortice del gioco illegale, delle patologie, degli strozzini. Per scappare dai quali, per vergogna, non chiedono aiuto.

I dati pubblicati da Giochidislots.com hanno messo in evidenza un target finora mai esplorato dalle ricerche di settore. Dei 18 milioni e mezzo di italiani che giocano o scommettono, addirittura il 29% sono donne.

Le 3 tipologie di giocatori

Stando a quanto si legge nell’articolo, quasi il 36,4% della popolazione italiana gioca. Ripartiti in tre gerarchie diverse di profili: i “giocatori sociali”, ovvero saltuari e che praticano per solo divertimento (13.453.000); i “giocatori a basso rischio” (2 milioni, pari al 4,1% dell’utenza); i “giocatori a rischio moderato” (1 milione e 400 mila, 2,8%) e infine i “giocatori problematici” (circa 1.500.000, 3%). Sotto questo nome finiscono tutti i giocatori “patologici”, definiti tali sono quando in cura presso le strutture del sistema nazionale sanitario per una diagnosi da dipendenza patologica da gioco.

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I giocatori patologici si stima rappresentino dall’1,8 al 6% della popolazione. Le donne sono quasi la metà, anche se nei dati ufficiali risultano essere solo un terzo”. A spiegarlo è Fulvia Preverdi Alea, Associazione per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio, che insieme a Monica Mincicura il progetto Azzardo&Donne. “Diventare una giocatrice per una donna è un problema più grande rispetto a un uomo, perché il suo ruolo sociale è centrale. Lavoro, figli, accudimento degli anziani e dei nipoti ruotano intorno a lei. E quando questo sistema va in crisi la dipendenza investe tutta la famiglia”.

Parole che trovano riscontro anche nel parere di Anna Maria Baratta, psicologa del Dipartimento Salute Mentale e dipendenze di Parma che spiega come si stia lentamente colmando la distanza tradizionale che separava le donne dagli uomini nelle dipendenze patologiche. Con una differenza: le prime sono dipendenti più toste da curare, hanno dipendenze più gravi e difficili e presentano un’enorme difficoltà a chiedere aiuto.

Non solo scommesse e azzardo.

Anche droghe, sigarette, shopping frenetico e compulsivo, ossessione per la propria immagine esterna. Con stili e modalità di consumo molto diverse: se l’uomo ricerca rafforzamento da una sostanza o da una pratica, la donna invece ha bisogno di alleviare, rendere leggero qualcosa, che sia la vita di tutti i giorni, quella professionale o, addirittura, quella sentimentale.

Le dipendenze delle donne– spiega la dottoressa Barattasono collegate all’estrazione sociale, alla presenza di altre dipendenze in famiglia, al partner che si ha al proprio fianco. Poi ci sono percorsi legati al bisogno di mantenere una certa immagine: ad esempio essere sempre magre, grazie al consumo di farmaci diuretici, stimolanti, anoressizzanti, spesso reperiti e acquistati online“.

Per guarire ci si può rivolgere ai SerD, i servizi pubblici per le dipendenze, dove si interviene con colloqui individuali o terapie di gruppo. Prima ancora, però, serve superare vergogna e paura, avere il coraggio di dare voce alla sofferenza. Per mettersi tutto alle spalle.

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ultimo aggiornamento: 21 Novembre 2018 17:30

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